Il prezioso lascito poetico di Fran Cortegoso
A un anno esatto dalla scomparsa di Fran Cortegoso (1985-2016), la rilettura della sua opera diviene un esercizio fondamentale per gettare un po’ di luce su una poesia altamente concettuale e su uno dei migliori poeti dell’ultima e rigogliosa generazione della letteratura galega.
Nel suo primo libro Memorial e danza (Espiral Maior, 2014), Cortegoso srotola una lingua poetica avvolgente che si ritrae e si allunga sulle cose come se fossero una preda. La realtà sta avanti e l’ineffabilità della parola è una rincorsa che solo la poesia può portare a termine. Questa ricerca si rende corporea al pari delle cose e si spande, come si legge nella dedicatoria iniziale.
L’analisi del giardino come luogo di incontro-scontro dove si manifesta la sintesi della vita ricorda alcune delle pagine più memorabili di Leopardi. “O xardín è un elaborado / intrínseco ao corazón. / Unha praza. Un espazo interior. // A praza è unha connivencia / para o fluxo de mercadorías / e relacións humanas. O corazón / como un fluxo experiencial” (“Il giardino è un elaborato / intrínseco al cuore. / Una piazza. Uno spazio interiore. // La piazza è connivenza / per il flusso di merci / e relazioni umane. Il cuore / come un flusso esperienziale”).
Ogni fiore schiude una verità che va oltre l’apparente bellezza per cui si fa ammirare. Il gladiolo, la rosa, la calendula, la calla, la camelia sono l’occasione per conoscere “o incendio / que no interior da carne / todo signo marcado / desata”. ( “l’incendio / che all’interno della carne / ogni segno marcato / scioglie”.)
Da qui la citazione che introduce la seconda parte del libro, un rimando a Jean Cocteau, in cui si esplicita che la poesia utilizza un linguaggio “che poche persone parlano e che poche persone intendono”.
Unha árbore
dilátase nas vetas da pedra,
avánzase sobre o límite,
éo.
No relanzo da tarde devense
chuva.
Unha árbore enxértase na pel
doutra.
Non ten corazón máis que a madeira
que expomos para contar os aneis
co estremo da uña arredada
á carne.
Distánciase na altura, mídese
na sombra.
Sostena
o ceo.
Pode caer.
Un albero
si dilata sulle strie della pietra,
avanza sul limite,
eccolo.
Sull’orlo della sera diviene
pioggia.
Un albero si innesta nella pelle
di un altro.
Non ha altro cuore che il legno
che esponiamo per contare gli anelli
con l’estremità dell’unghia scostata
dalla carne.
Si distanzia in altezza, si misura
nell’ombra.
Lo sostiene
il cielo.
Può cadere.
Il secondo libro di Fran Cortegoso, Suicidas (Chan da pólvora, 2016), è in modo quasi preannunciato postumo, in quanto a titolo, a periodo di elaborazione – molti componimenti, sebbene rivisti, erano stati scritti anni prima – e a momento di pubblicazione, che coincide con la dipartita del suo autore. Molti temi ritornano in questa raccolta che ripercorre i luoghi dell’anima dei poeti, alcuni di essi morti suicidi, approfondendo, come si legge nell’epigrafe d’apertura al libro, la coscienza di come il linguaggio ci spinge ad essere violenti. Nella prima parte Cortegoso snocciola dei distici, il cui primo verso si costruisce per contrasti tra la descrizione di sensazioni estreme corporali e il loro sentore nell’immaginazione, mentre nel secondo distico si esplicita la sintesi nelle occasioni che producono queste dicotomie epistemologiche. “Da levidade de si / do necesario do espírito / pero xa emerxencia da voz que tanxe a chuvia”. (“Della leggerezza di sé / dell’essenziale dello spirito / ormai emergenza della voce che tange la pioggia”).
L’ascensione spirituale è la ricerca degli spazi di assenza che si materializzano nel corpo e nelle parole che si abitano. Così la vita si riflette nel verso come “cristallo di voce”, svelandone le sfaccettature più recondite, mentre si pronunciano i suoi colori. “Ante o máis aberto, / cala, / pronunciamos o maior / dos silencios / por volver”. (“Di fronte all’aperto, / taci, / pronunciamo il maggiore / dei silenzi / per tornare”). Incorniciata da questi versi la seconda parte, con il titolo in francese “La bête et l’enfant”, è una corposa e allo stesso tempo calibrata fuoriuscita di sensazioni scaturite dall’incontro con l’altro, dall’incrocio fisico con un’altra persona, dal dialogo con questo Tu costantemente evocato. “A palabra ofrécese á boca / e toda esa densidade contida no seu rostro” (“La parola si offre alla bocca / e tutta questa densità contenuta nel su volto”). L’acqua e gli elementi vegetali contornano questo attraversamento e si riversano nel corso del fiume Po, “dalle Alpi fino al Delta”, le cui gocce sono punti di osservazioni che si condensano in un “detallado caliz” (“un dettagliato calice”).
Cortegoso scende nel particolare delle relazioni per scardinarne la possessività. “Non se enfrontaban á cuestión esencial: / superar a linguaxe posesiva / desvelar a que acolle” (“Non si confrontavano con il problema essenziale / superare il linguaggio possessivo/ svelare ciò che accoglie”). Nella terza parte si rende più esplicita la sfida della poesia verso la realtà conformata, attraverso dei componimenti dedicati a poeti come Hölderlin, Mallarmé, Ungaretti, Wright e Broda. La poesia è d’altronde l’appareil con il quale i poeti “acostumados á violencia da imaxe” (“abituati alla violenza delle immagini”) svelano la “visione del fenomeno” a un “pubblico inesperto”, “eles nunca recibiran a imaxe de si mesmos, foran adestrados na observancia do humano desde disciplinas de distinto grao de aplicabilidade” (“essi non avevano mai ricevuto l’immagine di loro stessi, erano stati addestrati all’osservanza dell’umano partendo da discipline con diverso grado di applicabilità”). In questo senso la “morte è qualcosa che ci appartiene” e la vita è un interrogativo che appartiene alla storia, personale e collettiva. Si sottostà alle leggi della natura per ri-crearci nei versi.
D’altronde, nel precedente libro Memorial e danza, le due iscrizioni in latino che aprono e chiudono il volume riassegnano alla poesia un valore testimoniale imperituro, alla pari dei monumenti funerari degli antichi. “Illud quod legatum erat sicut litterae selexit amante recitatur […] Ergo amans necem amat”. E nel legato delle sue lettere, brilla ancora la presenza di Fran Cortegoso.
Marco Paone